lunedì 31 gennaio 2011

Il futuro energetico secondo BP (ed ExxonMobil)

La BP (prima British e ora Beyond Petroleum) pubblica da 60 anni delle statistiche energetiche che sono diventate un punto di riferimento per chiunque si occupi della produzione e del consumo di energia. Da pochi giorni è uscito un nuovo contributo, il BP energy outlook 2030 (pdf, 1.4 MB), che dovrebbe rappresentare un'alternativa all'annuale World Energy Outlook dell'IEA (International Energy Agency); la differenza esteriore principale è che il primo risulta molto più snello, circa 80 pagine contro le oltre 700 del secondo, e gratuito. Quale potrà essere il futuro energetico mondiale fra il possibile declino delle fonti convenzionali (combustibili fossili, in particolare petrolio) e la crescita delle alternative (fotovoltaico, eolico, biocombustibili, nucleare)?

Nell'introduzione si parla di proiezioni basate non su un modello BAU (Business As Usual) ma di tendenza dei mercati energetici desumibile dalle attuali conoscenze; i primi grafici riassumono le prospettive demografiche, energetiche ed economiche.

BP Energy Outlook 2030, da pag. 8.

BP Energy Outlook 2030, da pag. 14.
La richiesta di energia primaria rimane costante nei paesi OECD mentre raddoppia negli altri; il PIL invece aumenta ovunque, più rapidamente nei paesi emergenti, e poiché l'intensità energetica migliora è possibile una crescita economica maggiore a parità di aumento percentuale nell'energia consumata. Una suddivisione più dettagliata della produzione energetica in base alla fonte si trova poco più avanti.

BP Energy Outlook 2030, da pag. 16.
Nei paesi non OECD il consumo cresce del 68% in venti anni (2.6% annuo), e questa richiesta copre il 93% del totale; le proporzioni del mix energetico cambiano molto poco a causa dell'inerzia del sistema, e sebbene le rinnovabili - compresi i biocarburanti - siano viste in crescita dell'8.2% annuo, una proiezione decisamente ottimistica e paragonabile alla velocità di penetrazione del mercato che ha avuto il nucleare negli anni '70 e '80, il loro peso sul totale rimane piccolo.

giovedì 20 gennaio 2011

Più petrolio per (quasi) tutti

Il Venezuela insiste, e in un recente annuncio il suo presidente dà per scontato il sorpasso sull'Arabia Saudita per quanto riguarda le riserve di petrolio. Si tratta della solita cintura dell'Orinoco, del solito petrolio ultra-pesante e pieno di Zolfo, e forse anche della solita necessità di tenere lontano dagli occhi la realtà per quanto più tempo possibile: la produzione petrolifera sta diminuendo e senza investimenti esteri sarà difficile risalire la china. Ha poca importanza il fatto che l'Arabia disponga di 265 miliardi di barili (stando alle statistiche della BP) e il Venezuela di "soli" 217, e quindi non si possa ancora parlare tecnicamente di sorpasso: tanto sugli sbandierati 200 anni di riserve venezuelane pochi sarebbero pronti a scommettere.



Rimanendo nell'America del Sud anche la Petrobras ci informa che le sue riserve provate sono aumentate del 7.5% nel corso del 2010; a voler essere pignoli si potrebbe discutere sul fatto che i nuovi giacimenti si trovino a 150 km dalla costa e ad una profondità che va dai 5000 ai 7000 metri, circa un terzo dei quali costituito da sale, non proprio semplicissimo da perforare. Tutto fa, e se altre compagnie petrolifere sono pronte a dividere le spese è possibile che si riesca a tirarne fuori qualcosa di buono.

Non vuole essere da meno la Cina, con ben 38 (!) giacimenti offshore fra petrolio e gas naturale; aggiungiamo come bonus 200 miliardi di tonnellate di carbone (bastanti per 40-50 anni), un po' di clatrati di metano e potrebbe quasi sembrare che i problemi di import energetico del gigante asiatico siano destinati a scomparire.

Sempre dalla Cina merita un cenno anche la notizia riportata un paio di settimane fa secondo la quale sarebbe stato messo a punto un processo che permette di moltiplicare per 60 la durata dell'Uranio esistente, garantendo alla nazione 3000 anni di riserve (ai consumi attuali, ovviamente). All'inizio pensavo che si trattasse del proseguimento dell'esperimento iniziato a Qinshan lo scorso anno, cioè nient'altro che il già noto DUPIC (Direct Use of PWR fuel in Candu), che vedrebbe però al massimo un guadagno del 25% nell'energia ricavabile dal combustibile; rimaneva quel curioso coefficiente moltiplicativo così vicino al rapporto esistente in natura fra U238 e U235 che farebbe pensare piuttosto ad un utilizzo in reattori veloci, ma la Cina ne ha solo uno sperimentale in funzione (e forse altri 3 da costruire nei prossimi anni).

Sembra invece che i cinesi siano proprio riusciti a replicare il riprocessamento che già si esegue in Francia, ma serviranno comunque una decina di anni prima di un uso su grande scala. Per arrivare alla durata riportata inizialmente è indispensabile l'impiego di reattori raffreddati a Sodio o Piombo/Bismuto, dato che il MOX inserito in reattori tradizionali raffreddati ad acqua non permette la chiusura del ciclo e il 99% dell'energia - teoricamente - disponibile resta al suo posto. Nel frattempo i mercati se ne fregano dei 3000 anni che verranno, e i prezzi dell'Uranio si alzano in risposta a 3 contratti cinesi stipulati a Novembre per un totale di 63.000 tonnellate di minerale da qui al 2020; tenuto conto che circa l'80% della produzione attuale è già di fatto venduta con accordi analoghi, gli operatori del settore si attendono ripercussioni sul prezzo a breve e medio termine.

In tutto questo moltiplicarsi di riserve e scoperte, solo una notizia riporta con i piedi per terra: la Norvegia ha tagliato del 21% le riserve di tipo "unproven" in seguito a risultati deludenti ricavati dai alcuni pozzi di prova, e questo si somma al rapido declino iniziato nel 2001.

Per dirla con le parole dell'NPD (Norwegian Petroleum Directorate), "Production is declining in spite of vigorous (prospecting) activity. Not enough new reserves are found to offset current oil and gas production". Più picco di così...